L’Arcadia in Brenta, Venezia, Savioli, 1770

 ATTO SECONDO
 
 SCENA PRIMA
 
 Deliziosa.
 
 Tutti a sedere, cioè il CONTE in mezzo, madama LINDORA alla dritta, GIACINTO presso ROSANNA, FORESTO vicino a LAURETTA e FABRIZIO da un lato, arrabbiato per non esser vicino ad alcuna donna
 
 CONTE
 Da’ lacci neghittosi del silenzio
 scatenando la lingua,
580qual monarca di dive e semidei,
 do glorioso principio a’ cenni miei.
 FABRIZIO
 Signor principe caro,
 il povero Fabrizio
 gli manda un memorial, con cui lo prega
585comandar a’ pastor che per servizio
 lascino qualche ninfa anco a Fabrizio.
 CONTE
 Giuste le preci son ma non è giusto
 delle ninfe arbitrar. Quella sia vostra
 che inclinata e proclive a voi si mostra.
 FABRIZIO
590Tutte vorranno me.
 ROSANNA
                                      Sarei contenta
 se del signor Fabrizio
 foss’io la ninfa eletta
 ma non vo’ disgustar la mia Lauretta.
 LAURA
 Eh no no, giacché vedo
595che a voi piace quel viso, io ve lo cedo.
 FABRIZIO
 E fra due litiganti il terzo goda.
 Io sarò di madama,
 se mi vuol, se mi brama.
 LINDORA
 Vi domando perdono,
600non mi vo’ scomodar di dove sono.
 FABRIZIO
 Dunque dovrò star senza?
 GIACINTO
 Voi dovete soffrire.
 FORESTO
                                      E aver pazienza.
 FABRIZIO
 (Maledetti! Mi mangiano le coste
 e penar mi conviene.
605Or sì che i miei denar gli spendo bene).
 CONTE
 Dall’arcadico trono,
 a cui per vostro dono io son alzato,
 due comandi vi do tutti in un fiato.
 Primo: ciascuna ninfa
610scelga il pastor, di tutti alla presenza,
 ma non vo’ che Fabrizio resti senza.
 Secondo: quel pastor che sarà eletto
 con qualche regaletto
 riconosca la ninfa
615e lei, com’è il dovere,
 del regalo disponga a suo piacere.
 FABRIZIO
 Bravo, bravo, vi lodo.
 ROSANNA
 D’un tal comando io godo,
 potrò senza riguardi
620il mio genio svelar.
 GIACINTO
                                      (Già mia voi siete). (Piano a Rosanna)
 ROSANNA
 Deh lasciate che io finga e non temete. (Piano a Giacinto)
 FABRIZIO
 Lasciatela parlar. (A Giacinto)
 ROSANNA
                                   Se mi concede
 il sospirato onore,
 sarà il signor Fabrizio il mio pastore.
 FABRIZIO
625Evviva, evviva. Ah! Che ne dite? Oh cara!
 Che gioia! Che diletto!
 Per la mia pastorella io già vi accetto.
 LAURA
 Piano, piano di grazia, padron mio,
 che ci pretendo anch’io.
630Or che non v’è riparo,
 la maschera mi levo e parlo chiaro.
 V’ho scelto nel mio core
 di già per mio pastore
 e se non mi volete
635impazzir e crepar voi mi vedrete.
 FORESTO
 (So che finge). Ma come! Se Rosana...
 ROSANNA
 Io Fabrizio pretendo.
 LAURA
 Di cedere Fabrizio io non intendo.
 FABRIZIO
 Signor principe, questo è un brutto imbroglio.
 CONTE
640Dall’arcadico soglio
 così decido e voglio:
 per consolar delle due ninfe il core,
 abbiano due pastorelle un sol pastore.
 FABRIZIO
 Evviva, evviva; bravo per mia fé.
645Son capace, lo giuro, anco per tre.
 LINDORA
 Dunque, signor Fabrizio,
 s’ella dice da vero e non ischerza,
 io fra le ninfe sue sarò la terza.
 FABRIZIO
 Venga la quarta ancor, mi fa servizio;
650non mi perdo in la folla; io son Fabrizio.
 Levatevi di qua. (A Foresto e Giacinto)
 Loco per voi non c’è,
 una volta per uno, tocca a me.
 CONTE
 Olà, suddito nostro,
655fermatevi per ora.
 Non è finito ancora.
 Se voi pastor delle tre ninfe siete,
 regalar le tre ninfe ora dovete.
 FABRIZIO
 (Oimè, son imbrogliato,
660questo favor mi vuol costar salato).
 GIACINTO
 Su via, fatevi onore.
 FORESTO
 Via portatevi ben, signor pastore.
 FABRIZIO
 A voi Rosanna bella,
 mia cara pastorella,
665perché mi brilla in sen il cor contento,
 questo picciol brillante io vi presento.
 ROSANNA
 È molto spiritoso, è molto bello;
 brilla come che a voi brilla il cervello.
 FABRIZIO
 Grazie a lei; a Lauretta,
670graziosa vezzosetta,
 per cui ognora tormentato sono,
 quest’orologgio d’or presento in dono.
 LAURA
 Il vostro dono accetto
 e contemplar prometto
675in lui la vostra amabile figura,
 perché voi siete tondo di natura.
 FABRIZIO
 Obbligato. A madama,
 perché si guardi dalla stranutiglia,
 le do una tabacchiera di Siviglia.
 LINDORA
680Ed io, che v’amo tanto, bramerei
 che in questa tabacchiera,
 per poterne goder a tutte l’ore,
 fosse polverizzato il vostro core.
 FABRIZIO
 Che bontà! Che finezze!
 CONTE
                                              Or di quei doni
685ne disponga ciascuna a suo talento
 e faccia al donator un complimento.
 ROSANNA
 Io pongo quest’anello
 nelle man di Giacinto
 e dico al donatore
690ch’io lo delusi e questo è il mio pastore.
 FABRIZIO
 Come?
 LAURA
                 Quest’orologgio
 a Foresto consegno
 e al donatore io dico
 che già di lui non me n’importa un fico.
 FABRIZIO
695Che? Che?
 LINDORA
                       La tabacchiera
 al principe presento e mio pastore,
 perché quel tabaccaccio mi fa male
 e chi me l’ha donato è un animale.
 CONTE, GIACINTO, FORESTO
 Viva il signor Fabrizio.
700Ci rallegriam con lei. (Tutti s’alzano)
 FABRIZIO
 Che siate maledetti tutti sei.
 
    Corpo del diavolo,
 parmi un po’ troppo.
 Che? Sono un cavolo?
705Son gentiluomo
 del mio paese,
 io fo le spese,
 io son padrone.
 Che impertinenza!
710Che prepotenza!
 Come? Che dite?
 Eh padron mio,
 basta così.
 
    La vo’ finire,
715me ne voglio ire.
 Signore ninfe,
 gnori pastori,
 buon viaggio a loro.
 Che? Non gli piace?
720Se n’anderanno,
 signori sì.
 
 SCENA II
 
 Tutti, fuorché Fabrizio
 
 MADAMA
 Oh quanto mi fa ridere ah, ah. (Ride)
 Oimè non posso più ah, ah, ah, ah.
 Messer Fabrizio ah, ah, ah, (Ride)
725è in collera ah, ah,
 ahi, che mi manca il fiato,
 non posso respirar. (Si getta a sedere)
 LAURA
                                       Che cosa è stato?
 LINDORA
 Il rider mi scompone e mi rovina.
 LAURA
 Povera madamina,
730siate tenera assai, vi compatisco.
 (Con questa smorfia anch’io mi divertisco).
 FORESTO
 Signori, con licenza,
 vo’ seguitar Fabrizio. Egli è arrabbiato.
 Vo’ veder di placarlo. A dirla schietta,
735tutto il torto non ha. Ma questo è il frutto
 di chi vuol far di più del proprio stato;
 spende, soffre, non gode ed è burlato. (Parte)
 LAURA
 Io rido quando vedo
 certi pazzi che fan gli innamorati
740e credon col contante
 render la donna amante.
 Quando il genio non v’è, non fanno niente,
 si lascian nell’inganno
 e se si voglion rovinar, suo danno.
 LINDORA
745In quanto a questo poi,
 non l’intendo, Lauretta, come voi.
 Non dono e non accetto
 e per non ingannar nulla prometto.
 LAURA
 Parliam d’altro di grazia.
 CONTE
                                                Deh madama,
750andiam per questi deliziosi colli,
 co’ vostri bei colori
 la vil bellezza a svergognar de’ fiori.
 ROSANNA
 (Che parlar caricato!) (A Giacinto)
 GIACINTO
 (E pur così affettato
755vi dovrebbe piacer). (A Rosanna)
 ROSANNA
                                         (Per qual ragione?) (A Giacinto)
 GIACINTO
 (Piace alle donne assai l’adulazione). (A Rosanna)
 CONTE
 Concedete ch’io possa
 regger col braccio mio... (A Lindora)
 LAURA
 Eh signor conte mio,
760lei parte con madama.
 Rosanna se n’andrà col suo Giacinto
 ed io resterò sola?
 Lei di cavalleria non sa la scola.
 CONTE
 Ha ragion, mi perdoni,
765io son un mentecato, io son un bue.
 Servirò, se il permette, a tutte due.
 LAURA
 Se madama l’accorda...
 LINDORA
                                             Io nol contendo.
 LAURA
 Io son contenta e le sue grazie attendo.
 CONTE
 Eccomi. Favorisca. Faccia grazia.
770Sull’umil braccio mio poggi la mano.
 LAURA
 Caminate più presto.
 LINDORA
                                          Andate piano.
 GIACINTO
 (Son godibili assai). (A Rosanna)
 ROSANNA
 (Più grazioso piacer non ebbi mai). (A Giacinto)
 LAURA
 Ma via, non vi movete?
 CONTE
                                             Eccomi lesto.
 LINDORA
775Non andate sì presto;
 di già voi mi stroppiate.
 LAURA
 Con questo andar sì pian, voi m’ammazzate.
 GIACINTO
 (Oh belli!)
 ROSANNA
                       (Oh cari!)
 CONTE
                                            (Io sono
 nel terribile impegno). Via, madama,
780un tantinin più presto.
 Eh via cara signora, (A Laura)
 un tantinin più piano.
 LAURA
 Più piano di così? Mi vien la morte.
 LINDORA
 Vi dico ch’io non posso andar sì forte.
 CONTE
 
785   Questa forte e quella piano,
 l’una tira e l’altra mola;
 non so più cosa mi far,
 favoriscano la mano,
 anderò come potrò.
 
790   Forti, forti, saldi, saldi,
 vada pur ciascuna sola.
 Io gli sono servitor.
 
    Che comanda? Eccomi qui.
 Ch’io la servi? Eccomi pronto.
795Caminiam così, così.
 Troppo forte? Troppo piano?
 D’incontrar io spero invano
 di due donne il strano umor.
 
 SCENA III
 
 ROSANNA, GIACINTO, LINDORA e LAURETTA
 
 GIACINTO
 Ah ah, che bella cosa!
 ROSANNA
800(Cosa invero piacevole e gustosa).
 LAURA
 Madama, andate pian quanto volete,
 per non venir in vostra compagnia,
 vi faccio riverenza e vado via. (Parte)
 LINDORA
 Oibò! Correr sì forte
805non conviene per certo ad una dama.
 Affettar noi dobbiam, per separarci
 dalla gente ordinaria,
 una delicatezza straordinaria. (Parte)
 
 SCENA IV
 
 ROSANNA e GIACINTO
 
 ROSANNA
 Bei caratteri al certo.
 GIACINTO
                                         Anzi bellissimi.
810Io, che stolto non son, scelta ho per ninfa
 donna di senno e di beltà.
 ROSANNA
                                                  Di grazia,
 non seguite anche voi quel vil costume
 di adular per piacere.
 GIACINTO
                                          Ah nol temete;
 io vi stimo assai più che non credete.
 ROSANNA
815Per or godo l’onore
 che siate mio pastore
 ma, terminata poi l’Arcadia nostra,
 pastorella non son, non son più vostra.
 GIACINTO
 Chi sa, se non sdegnate
820di chi v’adora il core,
 io per sempre sarò vostro pastore.
 ROSANNA
 Felicissima Arcadia allor direi,
 se tutti i giorni miei
 lieta passar potessi al colle, al prato
825col mio pastor, col mio Giacinto a lato.
 
    Se di quest’alma i voti
 ascolta il dio d’amor,
 lieto sarà il mio cor,
 sarò felice.
 
830   Per or di più non dico
 ma forse un dì verrà
 che il labbro dir potrà
 quel ch’or non lice.
 
 SCENA V
 
 GIACINTO solo
 
 GIACINTO
 Purtroppo è ver che s’introduce il foco
835d’amor ne’ nostri petti e a poco a poco
 queste villeggiature,
 in cui sì francamente
 tratta e conversa ognun di vario sesso,
 queste cagionan spesso
840nella stagion de’ temperati ardori
 impegni, servitù, dolcezza, amori.
 
    Per passar dagli occhi al core
 apre il varco al dio d’amore
 la moderna libertà.
 
845   Anche amore andria sommesso
 se si usasse col bel sesso
 la primiera austerità.
 
 SCENA VI
 
 Camera.
 
 FABRIZIO e FORESTO
 
 FABRIZIO
 Non vo’, non vo’  sentire.
 FORESTO
 Eh via, signor Fabrizio,
850siete un uom di giudizio,
 siete un uomo civile,
 non fate che vi domini la bile.
 FABRIZIO
 Che bile? Che m’andate
 bilando e strabilando!
855Ve ne dovete andar qualor vi mando.
 FORESTO
 Finalmente fu scherzo.
 FABRIZIO
 Sì, fu scherzo ma intanto
 l’orologgio, la scatola e l’anello
 non si vedono più.
 FORESTO
                                     Siete in errore,
860eccovi l’orologgio,
 la scatola e l’anello.
 Ciò ch’ha di vostro ognun di noi vi rende;
 né d’usurpar il vostro alcun pretende. (Gli dà l’orologgio, la scatola e l’anello)
 FABRIZIO
 Eh non dico, non dico ma vedermi
865strapazzato e deriso...
 FORESTO
 Lo fan sul vostro viso
 per prendersi piacer ma dietro poi
 le vostre spalle ognun vi reca lode
 e del vostro buon cuor favella e gode.
 FABRIZIO
870Son buon amico; e faccio quel ch’io posso.
 FORESTO
 A proposito, amico,
 che facciam questa sera?
 La carozza è venduta,
 sono andati i cavalli
875e da cena non v’è.
 FABRIZIO
                                   Come? In un giorno
 tanti bei ducatoni sono andati?
 FORESTO
 I debiti maggior si son pagati.
 FABRIZIO
 Io non so che mi far.
 FORESTO
                                        Siete in impegno,
 sottrarvi non potete.
 FABRIZIO
880Consigliatemi voi, se lo sapete.
 FORESTO
 L’orologgio e l’anello
 si potriano impegnar.
 FABRIZIO
                                           Sì, dite bene.
 FORESTO
 Ma non so se denaro
 si troverà abbastanza.
 FABRIZIO
                                           Ecco, prendete
885questa scatola ancora.
 Altro più non mi resta,
 Foresto caro, a terminar la festa.
 FORESTO
 Siete un grand’uom; peccato
 non abbiate il tesor maggior del mondo
890(che presto noi gli vederemo il fondo).
 Vado a trovar denaro
 e tosto a voi ritorno.
 Un certo non so che si va ideando.
 Qualor torno saprete il come e il quando. (Parte)
 
 SCENA VII
 
 FABRIZIO, poi LINDORA
 
 FABRIZIO
895Tutto va ben. Lo so che mi rovino.
 Ma non importa, almen anch’io godessi
 da coteste mie ninfe traditore
 un qualche segno di pietoso amore.
 LINDORA
 Signor Fabrizio. (Di lontano)
 FABRIZIO
                                  (Questa, a dir il vero,
900mi par troppo flemmatica).
 LINDORA
                                                     Non sente?
 Signor Fabrizio.
 FABRIZIO
                                 (E pur, se mi volesse,
 io non ricuserei
 di far un poco il cicisbeo con lei).
 LINDORA
 Si... gnor Fa... bri... zio. (Con caricatura)
 FABRIZIO
                                              Oh cielo! Mi perdoni,
905non l’avevo sentita.
 LINDORA
 Ho gridato sì forte che la gola
 mi si è tutta enfiata;
 quas’in petto una vena m’è crepata.
 FABRIZIO
 Cancaro, se ne guardi;
910favorisca.
 LINDORA
                     M’aiuti.
 FABRIZIO
                                      Eccomi lesto.
 LINDORA
 Non mi tocchi.
 FABRIZIO
                              Perché?
 LINDORA
                                               Son tenerina.
 FABRIZIO
 Impastata mi par di ricottina.
 LINDORA
 Ahi son stanca.
 FABRIZIO
                               S’accomodi madama.
 LINDORA
 Sederei volontier ma questa sedia
915è dura indiavolata.
 Sul morbido seder son avvezzata.
 FABRIZIO
 Ehi... Dico pian, non tema. Ehi reca tosto
 una sedia miglior. (Viene il servo)
 LINDORA
                                     Molt’obbligata. (Il servo va e torna con una sedia di damasco)
 FABRIZIO
 Sieda qui, starà meglio.
 LINDORA
                                              Oibò, è sì dura
920cotesta imbottitura
 ch’io non posso sperar di starvi bene.
 FABRIZIO
 Rimediarvi conviene.
 Porta la mia poltrona.
 LINDORA
 Compatisca, signor.
 FABRIZIO
                                       Ella è padrona. (Torna il servo colla poltrona)
925Eccola, se ne servi.
 LINDORA
                                     Oh peggio, peggio.
 No no, non me ne curo;
 il guancial di vacchetta è troppo duro.
 FABRIZIO
 Eh corpo d’un giudio,
 ora la servo io. (Parte)
 LINDORA
                               Portate via
930la sedia ed il guanciale,
 quell’odor di vacchetta, ahi mi fa male. (Torna Fabrizio con un matarazzo)
 FABRIZIO
 Eccolo, un matarazzo;
 di più non posso far.
 LINDORA
                                        Quest’è un strapazzo,
 lo conosco, lo so; no, non credevo
935dover soffrir cotanto;
 ahi, che mi vien per il dolore il pianto.
 
    Voglio andar... Non vo’ più star,
 più beffata esser non vo’.
 Signorsì, me n’anderò.
940Sono tanto tenerina
 ch’ogni cosa mi scompone;
 e voi siete la cagione
 che m’ha fatto lagrimar.
 
    Se sdegnarmi almen sapessi,
945vendicarmi or io vorrei.
 Ma senz’altro morirei,
 se m’avessi ad arrabbiar.
 
 SCENA VIII
 
 FABRIZIO, poi FORESTO
 
 FABRIZIO
 Si contenga chi può. Corpo del diavolo,
 non ne potevo più.
 FORESTO
                                     Signor Fabrizio,
950il principe d’Arcadia ha comandato
 che dobbiam recitar all’improvviso
 stassera una commedia.
 FABRIZIO
                                               Io non ne so.
 FORESTO
 Non temete, ch’io vi contenterò.
 Il conte ha destinato
955di far da innamorato.
 Da innamorata dovrà far madama.
 Lauretta fa la serva.
 Io fo da genitore
 e voi dovete far da servitore.
 FABRIZIO
960Da servitor?
 FORESTO
                          Cioè la parte buffa.
 FABRIZIO
 Il buffo io dovrò far? Quest’è un mestiere
 ch’è difficile assai,
 per far rider i savi è grande impegno.
 FORESTO
 Già s’avanza la notte,
965andatevi a vestir, ch’io venirò.
 FABRIZIO
 Farò quel che potrò.
 Mi dispiace il parlar all’improviso,
 se fosse una commedia almen studiata,
 si potrebbe salvar il recitante,
970dicendo che il poeta è un ignorante. (Parte)
 
 SCENA IX
 
 FORESTO solo
 
 FORESTO
 Certo, non dice mal, sogliono tutti
 gettar la colpa su la schena altrui.
 Se un’opera va mal, dice il poeta:
 «La mia composizion è buona e bella;
975quel ch’ha fallato è il mastro di cappella».
 E questo d’aver fatto
 gran musica si vanta
 e che il difetto vien da chi la canta.
 Infine l’impresario
980senza saper qual siane la cagione
 se ne va dolcemente in perdizione.
 
    Perché riesca bene un’opera,
 quante cose mai vi vogliono?
 Libro buono e buona musica,
985buone voci e donne giovani,
 balli, suoni, scene e macchine.
 E poi basta? Signor no.
 Che vi vuole? Io non lo so!
 Ma nol sa nemmen chi critica,
990benché ognun vuol criticar.
 
    Parla alcuno per invidia,
 alcun altro per non spendere,
 mentre il più di tutti gli uomini
 col capriccio che li domina
995suol pensare e giudicar.
 
 SCENA X
 
 Sala.
 
 Il CONTE col nome di Cintio e FABRIZIO da Pulcinella, LAURETTA da Colombina, LINDORA col nome di Diana e infine FORESTO da Pantalone
 
 CONTE
 Seguimi, Pulcinella.
 FABRIZIO
                                       Eccome ccà.
 CONTE
 Siccome un’altra nube
 s’oppone al sole e l’ampia terra oscura,
 così da quella mura
1000coperto il mio bel sol, cui l’altro cede,
 l’occhio mio più non vede. Ond’è che afflitto
 i nuovi raggi del mio sole attendo.
 FABRIZIO
 Tu me parla tidisca, io non t’intendo.
 CONTE
 Fedelissimo servo,
1005batti tu a quella porta.
 FABRIZIO
 A quale porta?
 CONTE
                              A quella.
 FABRIZIO
                                                 Io non la vedo.
 CONTE
 Finger dei che vi sia,
 invece della porta,
 in un quadro si batte o in una sedia,
1010come i comici fanno alla commedia.
 FABRIZIO
 Aggio caputo ma famme una grazia;
 perché da tozzolare aggio alla porta?
 CONTE
 Acciò che la mia bella
 venga meco a parlar.
 FABRIZIO
                                         Ccà sulla strada?
 CONTE
1015È ver, non istà bene
 che facciano l’amor sopra la strada
 civili onesti amanti.
 Ma ciò sogliono usar i commedianti.
 FABRIZIO
 Sì sì, tozzolerò ma se qualcuno,
1020quando ho battuto io, battesse a me?
 CONTE
 Lascia far; non importa, io son per te.
 FABRIZIO
 O de casa.
 LAURA
                      Chi batte? (Di dentro)
 FABRIZIO
                                            Sono io.
 LAURA
 Serva sua, signor mio.
 FABRIZIO
 Patron, chessa è per me.
 CONTE
                                               Chi siete voi,
1025quella giovine bella?
 LAURA
 Io sono Colombina Menarella.
 CONTE
 Di Diana cameriera?
 LAURA
 Per servir vusustrissima.
 FABRIZIO
 Obregato, obregato.
 CONTE
                                       Deh vi prego,
1030chiamatela di grazia.
 LAURA
                                         Ora la servo.
 FABRIZIO
 Sienteme, peccerella,
 vienence ancora tuie,
 che a nce devertarimmo fra de nuie.
 LAURA
 Sì sì, questa è l’usanza,
1035se i padroni fra lor fanno l’amore,
 fa l’amor colla serva il servitore.
 
    Il patron colla patrona
 fa l’amor con nobiltà;
 noi andiamo giù alla bona
1040senza tanta civiltà.
 
    Dicon quelli: «Idolo mio,
 peno, moro, smanio, oh dio!»
 Noi diciam senz’altre pene:
 «Mi vuoi ben, ti voglio bene»;
1045e facciamo presto presto
 tutto quel che s’ha da far.
 
    Dicon lor ch’è un gran tormento
 quell’amor che accende il core;
 diciam noi ch’è un gran contento
1050quel che al cor ci reca amore.
 Ma il divario da che viene?
 Perché han quei mille riguardi,
 penan molto e parlan tardi.
 Noi diciam quel che conviene
1055senza tanto sospirar. (Si ritira fingendo chiamar Diana)
 
 CONTE
 Ti piace, Pulcinella?
 FABRIZIO
 A chi non piaceressi, o Menarella?
 CONTE
 Ecco, viene quel bel che m’innamora.
 FABRIZIO
 Con essa vene Menarella ancora. (Vengono Lindora e Lauretta)
 CONTE
1060Venite, idolo mio,
 venite per pietà.
 LINDORA
 Vengo, vengo, mio bene, eccomi qua.
 CONTE
 Voi siete il mio tesoro.
 LINDORA
 Per voi languisco e moro.
 FABRIZIO
1065Ah tu si’ la mia bella. (A Laura)
 LAURA
 E voi siete il mio caro Pulcinella.
 CONTE
 A voi donato ho il core. (A Lindora)
 LINDORA
 Ardo per voi d’amore.
 FABRIZIO
 Per te mi sento lo Vesuvio in petto. (A Laura)
 LAURA
1070Cotto è il mio core al foco dell’affetto.
 CONTE
 
    Vezzosetta, mia diletta.
 
 FABRIZIO
 
 Menarella, mia caretta.
 
 LINDORA
 
 Cintio caro, Cintio mio.
 
 LAURA
 
 Pulcinella bello mio.
 
 LINDORA
 
1075Che contento, che diletto.
 
 LAURA
 
 Vien, mio bene, a questo petto.
 
 A QUATTRO
 
 Io ti voglio un po’ abbracciar. (Viene Foresto da Pantalone)
 
 PANTALONE
 
    Ola, ola, cossa feu?
 Abbrazzai? Cagadonai!
1080Via caveve, via de qua.
 
 LINDORA
 
    Io m’inchino al genitore.
 
 LAURA
 
 Serva sua, signor padron.
 
 FABRIZIO
 
 Te so’ schiavo, Pantalone.
 
 FORESTO
 
 El zirandonarve attorno,
1085tutti andeve a far squartar.
 
 CONTE
 
    Vuol ch’io vada?
 
 FORESTO
 
                                    Mi ve mando.
 
 FABRIZIO
 
 Vado anch’io?
 
 FORESTO
 
                             Mi v’ho mandao.
 
 CONTE
 
 Anderò colla mia bella.
 
 FABRIZIO
 
 Anderò con Menarella.
 
 LINDORA
 
1090Io contenta venirò.
 
 FORESTO
 
 Via, tiolé sto canelao.
 Colle putte? Oh questo no.
 
 LINDORA
 
    Signor padre, per pietà. (S’inginocchia)
 
 LAURA
 
 Gnor padron, per carità. (S’inginocchia)
 
 CONTE
 
1095Deh vi supplico ancor io. (Fa lo stesso)
 
 FABRIZIO
 
 Pantalon, patrone mio.
 
 FORESTO
 
 Duro star non posso più.
 Via mattazzi, levé su.
 
 A QUATTRO
 
    Io vi prego.
 
 FORESTO
 
                           Zitto là.
 
 A QUATTRO
 
1100Vi scongiuro.
 
 FORESTO
 
                           Vegnì qua.
 
    Cari fioi, deve la man.
 Alla fin so’ venezian,
 m’avé mosso a compassion.
 
 A QUATTRO
 
 Viva, viva Pantalon.
 
 A CINQUE
 
1105   Viva, viva il dolce affetto,
 viva, viva quel diletto
 che produce un vero amor,
 che consola il nostro cor.
 
 Fine dell’atto secondo